In occasione del 75° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione, la Camera promuove tre incontri. alle ore 18, nella cornice del Chiostro di Vicolo Valdina, l’ultimo dei tre appuntamenti, “I simboli della Repubblica”: Maurizio Ridolfi e Anna Maria Poggi in dialogo con Adalberto Signore. Letture di Michela Cescon. Interviene la Vicepresidente della Camera, Anna Ascani.
Il volume affronta il tema della conoscenza e dell’apprendimento in ambito scolastico e lavorativo considerato come un processo che coinvolge capacità non solo cognitive, come ricordare, parlare, comprendere, fare nessi, dedurre, valutare, ma che implica anche qualità trasversali, disposizioni della personalità dette «character skills», quali l’apertura mentale, la capacità di collaborare, la sicurezza. Il titolo, «Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori», esprime l’approccio che si è inteso dare al lavoro: quello di un percorso esplorativo nel quale confluiscono le riflessioni sviluppate da un gruppo di studiosi di varia formazione e di competenze diverse. I contributi suggeriscono le molteplici prospettive con cui accostare le character skills per averne piena contezza, proprio come quando in viaggio possiamo guardare il paesaggio naturale e le opere dell’uomo da diversi punti di vista così da farcene un’idea più ampia di ciò che sono e significano. Si tratta di un viaggio che vorremmo compiere con il lettore intorno al futuro dell’educazione e della scuola. E non solo.
Giorgio Chiosso è professore emerito di Pedagogia generale e Storia della pedagogia nell’Università di Torino. Per il Mulino ha recentemente curato «È possibile una scuola diversa? Una ricerca sperimentale per migliorare la qualità scolastica» (con D. Checchi, 2019). Annamaria Poggi è professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. È stata Presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo. Con il Mulino ha recentemente pubblicato «Per un “diverso” Stato sociale. La parabola del diritto all’istruzione» (2019). Giorgio Vittadini è professore ordinario nel Dipartimento di Statistica e metodi quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca. Presiede la Fondazione per la Sussidiarietà, che ha fondato nel 2002 come strumento di sviluppo culturale.
Come già in almeno altre due crisi globali sviluppatesi nei decenni più recenti (la crisi asiatica del 1997 e quella americana-europea del 2008) anche quella attuale, scaturita dal diffondersi del Covid-19, ha condotto parecchi opinionisti ad interrogarsi sulla fine della globalizzazione economica, a causa del contrarsi delle relazioni economiche mondiali e della tendenza, evidenziatasi in parecchi Paesi (compreso il nostro), verso un pesante ritorno dello Stato nell’economia. Il ritorno al protezionismo statale, o comunque ad un più forte ruolo dello Stato nell’economia, è anche fortemente sospinto dall’aumento globale della povertà e della disuguaglianza nella povertà. È orami assodato, infatti, che la globalizzazione non è benefica per tutti, e se pure conduce ad un aumento della ricchezza complessiva, questa non si redistribuisce equamente. Sul campo rimangono sconfitti (molti) e vincitori (pochi). Al tempo stesso, però, questi fenomeni potrebbero accentuarsi nel caso si aprisse una stagione di forte recessione economica. Se, infatti, i principali produttori di globalizzazione economica, gli Stati Uniti e la Cina, rallenteranno pesantemente la loro crescita economica, allora la domanda sulla fine della globalizzazione potrebbe essere fondata. Ma è davvero così? Davvero possiamo considerare finita l’esperienza della globalizzazione economica “moderna”, cioè di quella che gli esperti datano a partire agli anni Ottanta del Secolo scorso? Davvero dopo questa crisi vi sarà un ritorno a livello globale del protezionismo statale? Oppure, più facilmente, potremmo avere una virata, la terza in pochi decenni, della globalizzazione?
ttps://www.labsus.org/2020/09/educazione-civica-al-centro-come-paradigma-per-la-scuola-post-covid/ […] In questa prospettiva è fondamentale, se non necessario, richiamare il lavoro di Anna Maria Poggi, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino, la quale, nel suo saggio Per un “diverso” stato sociale: La parabola del diritto all’istruzione nel nostro Paese, esplora le dimensioni del “dovere di istruzione”. Secondo l’Autrice questo dovere non si collega meramente all’obbligo di istruzione ma anche, e forse soprattutto, ai doveri di solidarietà del singolo verso la collettività, richiamati nell’articolo 2 della Costituzione. La doverosità risiede nell’impegno reciproco (dei pubblici poteri e dei privati cittadini) per lo sviluppo del sistema in una prospettiva solidaristica. La scuola riveste un ruolo di primo piano per lo sviluppo delle libertà o per la rimozione delle illibertà ed è «molto più duratura come politica dalla liberazione della povertà» (p. 249). Il concetto di doverosità dell’istruzione richiama pertanto l’impegno delle istituzioni pubbliche a garantire un sistema di istruzione di qualità e allo stesso tempo quello dei cittadini ad istruirsi. Quest’ottica permetterebbe il superamento dell’approccio funzionalista e assistenzialistico delle istituzioni pubbliche, favorendo quello che l’Autrice definisce uno “Stato di promozione” che, appunto, promuova lo sviluppo delle libertà delle persone e della società. Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario che le istituzioni scolastiche favoriscano lo sviluppo delle libertà, proiettando l’individuo verso la società e nel contempo responsabilizzandolo. In un mondo in rapida e continua evoluzione, le persone dovrebbero acquisire gli strumenti che permettano loro di navigare la crescente complessità. L’educazione civica, intesa non solo come insieme di conoscenze disciplinari ma come metodo trasversale di apprendimento e di esercizio delle libertà, può fornire alle persone le abilità necessarie ad orientarsi con senso critico in un mondo sempre più incerto. Questo è il presupposto perché possa esserci una vera cura dei Beni comuni della società. Le importanti sfide a cui il nostro sistema di istruzione sarà chiamato a rispondere nei prossimi mesi possono rappresentare un’occasione per ripensare un modello scolastico in grado di guardare al futuro. Questo si rende ancora più necessario per far fronte alle criticità messe in luce dalla crisi sanitaria, e per ricreare una comunità educante che non sia solo teorica ma consapevole ed attiva. Mettere al centro l’educazione civica come paradigma per un nuovo modello scolastico consentirebbe di attivare energie, risorse e nuove prospettive nell’ottica della scuola come Bene comune. I migliori strumenti perché questo possa avvenire sono già a nostra disposizione.